Non sono in grado, per il tipo di questioni di cui mi occupo abitualmente, e per le situazioni celebrative nelle quali sono solito trovarmi, di presentare una competenza specifica sul tema che mi è stato affidato. È vero che ogni settimana celebro lEu¬caristia in una Casa della Carità (struttura che accoglie persone con diverse disabilità anche molto gravi); e queste situazioni celebrative sono per me cariche di una grande intensità. Non ho mai avuto occasione, però, di riflettere in modo sistematico sulle implicazioni teologiche, liturgiche e pastorali di questa situazione.
Ho scelto dunque, per assolvere il compito che mi è stato affidato, una via che mi risultava più familiare e che, forse, può arrivare a dire qualcosa di non troppo scontato intorno al tema di cui devo trattare. Il punto di partenza mi è stato suggerito dal titolo indicato per la mia relazione: dove mi si chiede di parlare di partecipazione alla comunità cristiana e celebrazione dei sacramenti dellIC con i disabili gravi e gravissimi.
Partecipazione, comè noto, è uno dei termini chiave del movimento liturgico sviluppatosi in Europa già dalla fine del XIX sec. e poi sanzionato autorevolmente dal Concilio Vaticano II. Già questa si presentava come una pista promettente, e ci torneremo. Ma partecipazione è anche una delle tre virtù trinitarie che un teologo americano, David S. Cunningham, suggerisce e illustra, in un suo saggio pubblicato nel 1998 , come chiave per illuminare il nesso profondo tra vita cristiana (ed ecclesiale) e vita trinitaria.
Mi è sembrato che valesse la pena di riprendere questa prospettiva, e di allargarla alle altre virtù trinitarie, che lautore suggerisce, per raccogliere da esse alcune suggestioni che aiutino a capire meglio (e, sperabilmente, a vivere meglio) la presenza e la partecipazione delle persone disabili nella vita della Chiesa, e in particolare nella sua vita sacramentale.
Prima di procedere, ritengo opportuno indicare due chiarimenti preliminari.